“Esiste il contrario del déja vu. Lo chiamano jamais vu. E’ quando incontri le stesse persone o visiti gli stessi posti in continuazione, ma ogni volta è come fosse la prima. Tutti sono sconosciuti, sempre. Niente risulta mai familiare.”
“Diciamocelo: in un mondo senza più Dio, il nuovo dio non sono forse le madri? L’ultimo bastione sacro e inespugnabile. Che la maternità sia l’ultima magia perfetta, l’ultimo miracolo? Ma è un miracolo impossibile per gli uomini. Che gli uomini dicano tanto di essere felici di non dover partorire, per via del dolore e del sangue, ma che in realtà la loro sia tutta invidia? Di sicuro gli uomini non sanno fare nulla di tanto incredibile. Muscolature superiori sviluppate, pensieri astratti, falli: tutti gli apparenti vantaggi degli uomini sono in realtà più che altro simbolici. Con un fallo non ci pianti nemmeno un chiodo. Le donne nascono già talmente avvantaggiate, a livello di capacità. Se un giorno gli uomini impareranno a partorire allora sì che si potrà cominciare a parlare di parità di sessi.”
“Il linguaggio altro non è che il nostro personale modo di spiegare lo splendore e la meraviglia del mondo. Per decostruirlo. Liquidarlo…la gente non è in grado di reggere la vera bellezza del mondo. Il fatto che non possa essere spiegata o compresa.”
“In un mondo in cui tutti quanti non fanno altro che aspettare ciecamente questa o quella catastrofe, questo o quella malattia fulminante, chi ha una dipendenza perlomeno sa a grandi linee cosa lo aspetta dietro l’angolo. Ha assunto una parvenza di controllo sul suo destino, e la dipendenza fa si che per questa persona il modo in cui morirà non sia un mistero. In un certo senso, avere una dipendenza è sinonimo di intraprendenza. Una bella dipendenza come si deve toglie alla morte l’elemento sorpresa. Perciò si può progettare la propria fine, eccome.”
Palahniuk in gran spolvero. Il folle cantore dell’allucinata realtà quotidiana nella quale viviamo in perfetta forma. Il terzo romanzo di questo autore che ho letto, non mi ha deluso per nulla e l’ho trovato quasi al livello di Survivor, che resta secondo me il suo capolavoro. Uno scansafatiche di circa trent’anni, figurante in parco tematico che ricostruisce l’epoca dei padri pellegrini americani, sesso dipendente, di padre ignoto e con una madre con l’Alzaimer avanzato che non lo riconosce, si inventa un metodo originale per arrotondare lo stipendio: soffocare in un ristorante. Ogni volta in un locale differente, perché ci sarà sempre qualcuno pronto a salvarlo, a fargli sputare il troppo cibo ingerito e andato “volontariamente” a intoppargli le vie respiratorie e digestive, un medico, qualcuno del pronto intervento, oppure più semplicemente un uomo qualunque che colga al balzo l’occasione per dare un’impennata alla sua noiosa vita i tutti i giorni. Infatti Victor Mancini, il protagonista della storia, soffocando di proposito si sente un vero e proprio salvatore di questi esseri tristi e impantanati in un’esistenza troppo convenzionale; nello stesso tempo il salvatore, dopo aver ottenuto il suo momento di gloria ed esser divenuto un piccolo ma importante eroe, sarà ben lieto di iniziare una corrispondenza col proprio “salvato” e di aiutare economicamente con un assegno annuale la povera anima strappata ad una fine prematura. Soprattutto perché questa povera anima ha donato al salvatore la sua eterna gratitudine e sentirsi importanti, vittoriosi, emergere dalla massa, significa tutto per un’umanità lobotomizzata dalla convenzionalità. Mi pare che il fulcro centrale della vicenda sia la perenne ricerca del controllo. Palahniuk sviluppa le azioni e i pensieri dei personaggi sempre in relazione con questo concetto di fondo, a tratti velato da altre considerazioni, a volte invece esplicitato nel testo. Per prima cosa il “dono” che il protagonista fa ai suoi salvatori, questa illusione di aver salvato una vita, in fondo una truffa rivestita di una dubbia moralità, si giustifica con il desiderio di controllare l’esistenza di qualcun altro, di poter essere padrone di una decisione e di un’azione così importante. In seguito la brama del controllo si può riscontrare nella ricerca ossessiva di Victor delle sue origini e del suo vero padre, per avere il possesso della propria identità; nella dipendenza dal sesso, che rappresenta un modo per avere dei punti fermi, una routine malsana in una vita che il destino può sconvolgere da un momento all’altro con catastrofi o malattie; oppure infine il peso del controllo si può intuire in un concetto astratto che mi ha molto colpito: la necessità di spiegare col linguaggio la bellezza del mondo e della realtà che ci circonda, una manifestazione meravigliosa che non può essere sintetizzata con le parole, ma che noi abbiamo l’idea di dover dominare e di dover definire. A questo si lega il pensiero che l’irreale è più potente del reale, perché se anche possiamo illuderci di circoscrivere la realtà che ci circonda con il linguaggio, non possiamo in definitiva imbrigliare l’immaginazione, le idee, i concetti, che sopravvivono alla materia. Controllare ogni aspetto della nostra vita non è possibile, possiamo solo illuderci di farlo. Lasciare che il passato delinei il nostro futuro è una soluzione che ci rende vuoti e assetati. Inventarci qualcosa di meglio e credere nella nostra immaginazione è presumibilmente la via da seguire per fuggire alla noia e dalla malinconia di un mondo immobile.
P.S.: il film del 2008 di Clark Gregg, pur avendo vinto il premio della Giuria al Sundance Film Festival, perde i concetti più importanti del testo e si sviluppa in maniera meno intimista, comunque è una piacevole visione, dopo aver letto il libro, mi raccomando!
“Le leggi che ci permettono di vivere sicuri sono le stesse che ci condannano alla noia. Se non possiamo accedere al caos autentico, non avremo mai autentica pace. Se le cose non hanno la possibilità di peggiorare, non miglioreranno…L’irreale è più potente del reale. Perché la realtà non arriva mai al grado di perfezione cui può spingersi l’immaginazione. Perché soltanto ciò che è intangibile, le idee, i concetti, le convinzioni, le fantasie, dura. Le pietre si sgretolano. Il legno marcisce. La gente, bé…la gente muore. Ma le cose fragili, come un pensiero, un sogno, una leggenda, durano in eterno.”