Due titoli prenatalizi allietano le sale italiane in questi giorni, prima dell'evento mediatico "Hobbit" e delle squallide commedie delle feste, confezionate per spettatori unicellulari che si accalcano ai botteghini per ridere a battute insulse. Si tratta di "Moonrise Kingdom" di Wes Anderson e "Ruby Sparks" della coppia di registi Jonathan Dayton e Valerie Faris, due piccoli gioielli che colpiscono per la loro purezza, semplicità di linguaggio, ma nello stesso tempo complessità di tematiche e sentimenti trattati.
Il primo film è una romantica storia d'amore tra due adolescenti, che, stanchi della noiosa esistenza che conducono e certi di non voler diventare come gli stolti adulti che li circondano, decidono di attuare la più classica delle fughe d'amore, con tanto di ricerca di un proprio paradiso personale e scambio di "promesse matrimoniali". Il poco più che quarantenne Anderson ci ha ormai abituato al suo stile onirico e surreale, pervaso di ironia malinconica e tristezza romantica, da "Rushmore" per passare alle commedie più conosciute "I Tenenbaum", "Steve Zissou" e "Il treno per Darjeeling" fino alla tecnicamente perfetta animazione con humour britannico di "Fantastic Mr. Fox". La novità di questa pellicola è la storia d'amore romantico che permea tutta la narrazione, che lascia meno spazio agli atteggiamenti cinici ed improbabili di certi personaggi delle precedenti storie, per dare più spazio ai sentimenti di tenerezza ed innocenza e perché no, anche ad un po' di sana avventura, pervasa di quello spirito imprudente dei giovani sognatori. Io ho davvero volato con la fantasia insieme a Sam e Suzy, lungo il sentiero antico dei Cich-chaw fino alla baia poeticamente rinominata "Moonrise Kingdom" e il mio cuore si è stretto con il loro quando, con una fermezza impensabile per gli adulti, si sono legati l'uno all'altra senza il minimo dubbio.
Vi sono inoltre, in puro stile Anderson, tanti piccoli siparietti che riguardano il mondo quasi estraneo dei "grandi", scene che delineano come il regista inquadri i personaggi "maturi" come naufraghi in balia delle onde della loro stessa vita, perlopiù stanchi della stessa, che si trascinano come ombre in un'esistenza piatta e priva di vere emozioni; sono i momenti nei quali la satira di Anderson torna prepotentemente a galla, senza comunque incidere troppo nella poetica della storia.
La pellicola di Dayton e Faris, autori della meravigliosa commedia "Little Miss Sunshine", è forse più complessa, trattando temi come l'asocialità e l'amore (ma per se stessi) in una vita di coppia quanto mai irreale: infatti i protagonisti del film sono uno scrittore e la sua creazione femminile, principale personaggio del suo prossimo romanzo, che incredibilmente prende vita e si manifesta nell'esistenza del suo autore. Kalvin, il giovane scrittore, ritenuto un genio per aver pubblicato a meno di 20 anni un romanzo di successo, è nella classica crisi da secondo lavoro, quando, dopo aver sognato la ragazza "perfetta" la descrive su carta ed ella gli appare; non è visibile solo da lui, come inizialmente può sembrare, ma da tutti! Kalvin ha letteralmente dato vita ai suoi sogni e può controllare anche la sua creazione tramite la scrittura, ma si accorgerà presto che la vita reale è ben diversa dall'onirico e anche il controllo che può esercitare non garantisce la felicità. Leggendo tra le righe della commedia romantica, si trovano concetti importanti quali l'insicurezza, il narcisismo e l'egoismo che abita i nostri angoli più profondi, la necessità di governare la relazione con l'amato/a e la costante paura che quest'ultima ci sfugga dalle mani.
In uno dei punti più intensi del film il protagonista viene accusato di amare solo se stesso e dopo poco dimostra di avere un lato oscuro e di potersi quasi trasformare in carceriere, pur di non perdere il proprio amore...ma forse il cuore può fare la scelta giusta e vincere il desiderio, perché se innamorarsi è un atto di magia, allora tutto è possibile.
La voglia di riportare, commentare e recensire ciò che mi colpisce in un libro, un film, uno spettacolo, un viaggio o qualsiasi altro evento, mi ha spinto a creare questo blog. Non importa che una cosa sia apprezzata nella sua interezza, a volte anche solo una frase può illuminarci all'interno di un contesto globalmente mediocre...
sabato 15 dicembre 2012
lunedì 5 novembre 2012
"V for Vendetta" di Alan Moore e David Lloyd - Ricorda per sempre il 5 di novembre...
“Salve,
cara Signora. Serata deliziosa, vero? Perdoni il disturbo. Forse voleva fare
una passeggiata. Forse ammirava solo il panorama. Non importa. Pensavo fosse
ora di fare due chiacchere, Lei ed io. Ah…dimenticavo che non ci siamo
presentati. Io non possiedo un nome. Lei può chiamarmi V.”
“Salve,
Madame Giustizia.”
“Buona
sera, V.”
“Ecco
fatto. Ora ci conosciamo. A dire il vero, La ammiro ormai da tempo. Oh, lo so
cosa pensa…”
“Il
povero ragazzo ha una cotta per me…un’infatuazione adolescenziale.”
“Le
chiedo scusa, Madame. Non è affatto così. E’ molto che La ammiro…quantunque
solo da lontano. Quando ero bambino La fissavo dalla strada. Dicevo a mio
padre: “Chi è quella Signora?” E lui rispondeva: “E’ Madame Giustizia”. E io
rispondevo: “Quanto è bella”. La prego di non pensare che fosse solo una cosa
fisica. So che Lei non è una di quelle. No, io La amavo come persona. Come
ideale. Ma è stato molto tempo fa. Temo che ora ci sia un’altra…”
“Cosa?
V! Vergogna! Mi hai tradito per una sgualdrina. Per una donna vana con le
labbra imbellettate e il sorriso malizioso!”
“Io,
Madame? Mi permetto di dissentire! E’
stata la sua infedeltà a spingermi tra le braccia di un’altra. Ah-ah! Questo l’ha sorpresa, vero? Pensava che
io non sapessi del suo piccolo flirt. Ma lo so. Io so tutto. Non sono rimasto
sorpreso quando l’ho scoperto. Lei ha sempre avuto un debole per gli uomini in
uniforme.”
“In
uniforme? Oh bella, non so proprio di cosa sta parlando. C’è sempre stato Lei,
V. Lei è stato il solo…”
“Bugiarda! Sgualdrina! Puttana! Neghi
pure di avergli lasciato fare ciò che voleva. Con la sua fascia al braccio e la
sua prepotenza! Allora? Ha perso la lingua?...E’ quanto pensavo. Molto bene.
Alla fine Lei è svelata. Non è più la mia
Giustizia. E’ la sua Giustizia ora.
Ha giaciuto con un altro. Beh, Le ho reso la pariglia.”
“Sob!
Sigh! Ch-chi è Lei, V? Qual è il suo nome?”
“Il suo
nome è Anarchia. E come amante mi ha
insegnato più di quanto Lei abbia fatto mai!
Anarchia mi ha insegnato che la Giustizia nulla significa senza la Libertà.
E’ onesta. Non fa promesse e non ne infrange. Diversamente da Lei, Gesebel. Un tempo mi chiedevo
perché non mi guardasse mai negli occhi. Ora lo so. Allora addio, cara Signora.
Sarei addolorato della nostra separazione, ma non è più la donna che un tempo
amavo.”
“Buona
sera, Londra. Pensavo fosse ora di scambiare due chiacchere. State comodi?
Allora comincio…Suppongo ti chieda perché ti ho chiamato qui stasera. Vedi,
uomo non sono del tutto soddisfatto del tuo recente rendimento…temo che il tuo
lavoro stia perdendo colpi, e…e, beh, purtroppo abbiamo pensato di mandarti
via. Oh, lo so, lo so. Ormai è tanto che lavori per l’azienda. Quasi…fammi
vedere. Quasi diecimila anni! Cielo, come vola il tempo! Sembra solo ieri…ricordo
il giorno in cui hai iniziato il tuo impiego, appena sceso dall’albero, col
viso fresco, nervoso, un osso stretto nel pugno arruffato…”Da dove comincio,
Sir?” Hai chiesto, mestamente. Ricordo le mie parole: “Laggiù c’è una pila di
uova di dinosauro, giovanotto.” Dissi, sorridendo paterno. “Comincia a
succhiare”. Beh, da allora ne abbiamo fatta di strada , vero? E sì, sì, hai
ragione, in tutto questo tempo non sei mancato un giorno. Ben fatto, mio buon
servo fedele. Inoltre, non pensare che io abbia dimenticato il tuo notevole
stato di servizio, o tutti i tuoi preziosi contributi all’azienda…Il fuoco, la ruota,
l’agricoltura…è una lista impressionante, vecchio mio. Davvero impressionante. Non fraintendermi. Ma…beh, ad essere
sinceri, abbiamo avuto anche i nostri problemi. Non lo si può negare. Sai da
cosa penso siano stati provocati? Te lo dico io…E’ la tua fondamentale
riluttanza a far progressi
nell’azienda. Pare che non voglia affrontare nessuna vera responsabilità, o essere il capo di te stesso. Dio lo sa,
quante opportunità ti sono state date…ti abbiamo spesso offerto una promozione,
e ogni volta ci hai deluso. “non ce la farei mai, direttore”. Ci persuadevi.
“Io so stare al posto mio”. Siamo sinceri, nemmeno ci provi, vero? Vedi, sei stato fermo troppo tempo, e lo si vede nel
tuo lavoro…e, potrei aggiungere, nella qualità generale del tuo comportamento.
I continui litigi nel reparto produzione non sono sfuggiti alla mia attenzione…né
i recenti atti di teppismo nella mensa aziendale. Poi naturalmente c’è…hmm.
Beh, non volevo tirare fuori l’argomento, ma…Vedi, ho sentito voci inquietanti
sulla tua vita personale. No, non importa chi me le ha dette. Niente nomi,
niente punizioni…Ho saputo che non vai d’accordo col coniuge. So che litigate.
Mi hanno detto che urli. Si è parlato di violenza. Una fonte attendibile mi
dice che ferisci sempre chi ami…chi non dovresti mai ferire. E vogliamo parlare
dei bambini? Sono sempre i bambini a soffrire, come ben sai. Poveri piccoli.
Che possono mai capire? Che possono capire delle tue angherie, della tua
disperazione, della tua codardia, delle intolleranze che ti sei coltivato
dentro? Così proprio non va, vero? E non serve dare la colpa del calo del
lavoro a una cattiva amministrazione…anche se in effetti l’amministrazione è pessima. Infatti, non usiamo eufemismi,
l’amministrazione è terribile.
Abbiamo avuto una sfilza di malversatori, imbroglioni, bugiardi e maniaci che
hanno preso una sfilza di decisioni catastrofiche. E’ un fatto assodato. Ma chi
li ha eletti? Sei stato tu! Tu che hai nominato queste persone! Tu che hai dato loro il potere di prendere decisioni per te! Per
quanto io possa ammettere che sia lecito fare un errore una volta, fare gli
stessi errori letali un secolo dopo l’altro mi sembra pura e semplice
premeditazione. Hai incoraggiato
questi incompetenti criminali che hanno ridotto a un macello la tua vita
lavorativa. Hai accettato i loro ordini insensati senza sollevare dubbi. Hai
permesso loro di riempire il tuo spazio lavorativo di macchine pericolose.
Potevi fermarli. Dovevi soltanto
dire “No”. Non hai una spina
dorsale. Non hai orgoglio. Non sei più un elemento prezioso per l’azienda. Tuttavia,
sarò generoso. Ti saranno concessi due anni per mostrarmi un miglioramento. Se
alla fine del periodo sarai ancora restio a fare tentativi…sarai liquidato.
Questo è tutto. Puoi tornare al tuo lavoro.”
“Non basta affidarsi troppo alle maggioranze
silenziose. Perché è cosa fragile il silenzio…Un rumore forte e via. Ma è tanto
intimorito il popolo. Tanto disorganizzato. Sì, potrebbe cogliere qualcuno
l’opportunità per protestare. Ma sarà solo una voce che urla nel deserto. Il
rumore si rapporta solo al silenzio che lo precedeva. Nella quiete più
assoluta, più sconvolgente è il tuono. E’ da generazioni che i nostri leader
non sentono la voce del popolo, Eve…e questa è molto, molto più forte di quanto
vogliono ricordare…Questa è la Terra del Prendi-ciò-che-vuoi. Anarchia vuol
dire “senza capi” non “senza un ordine”. Si ha con l’anarchia un’età
dell’ordnung. Di un ordine vero, ossia di un ordine volontario. Questa età
dell’ordnung avrà inizio quando il folle ed incoerente ciclo del verwirrung di
queste notizie il suo corso avrà compiuto. Non è anarchia questa, Eve. Questo è
caos…L’ordine involontario genera insoddisfazione; madre del disordine;
creatrice della ghigliottina. Le società autoritarie sono simili al pattinaggio
artistico. Intricate, dal preciso meccanismo e precarie, soprattutto. Sotto il
manto fragile della civiltà ribolle il caos più gelido…e in alcuni punti il
ghiaccio è più sottile e infido…Quando scopre il caos alle calcagna, l’autorità
considera le più ignobili macchinazioni per conservare la facciata d’ordine…ma
è sempre ordine senza giustizia. Ordine senza amore o libertà. E non può
posporre la discesa del mondo suo nel pandemonio. L’autorità due ruoli ammette:
il torturatore e il torturato; muta il popolo in un manichino senza gioia; che
odia e che ha paura, mentre la cultura affonda nell’abisso. L’autorità deforma
l’educazione dei suoi figlioli, e fa del loro amore un combattimento tra galli…”
Alan Moore e David Lloyd conferiscono piena dignità al
fumetto d’autore, e aprono la strada al mondo straordinario delle graphic
novels. Autori come Frank Miller e Neil Gaiman devono tantissimo allo stregone
di Northampton e alla sua visionaria immaginazione che ha creato un futuro
possibile, ma non auspicabile; le illustrazioni e i colori di Lloyd, uomo
posato e riservato che ho avuto il piacere d’incontrare a Lucca Comics, evocano
un’atmosfera insana e lugubre, in un paese dove non sembra più splendere il
sole. La riflessione sulla mancanza di libertà che affligge un popolo di una
nazione guidata da un governo totalitario, riporta alla mente grandi maestri
del passato come Ray Bradbury o George Orwell, lanciando però una luce nuova su
un protagonista inconsueto, forgiato dal fuoco del dolore e della disperazione;
un personaggio disturbato, lo capiamo a partire dal suo bizzarro, ma coerente
look, con un piano chiaro in mente fin dalla sua prima entrata in scena,
avvolto da un alone di mistero che mai verrà dissipato nel corso della storia.
E’ vero che nella parte centrale si vengono a sapere più informazioni su V, ma
in realtà il lettore non conosce mai la sua vera identità e finisce per
inquadrare questa figura carismatica come un ideale, uno spirito vendicativo
che però non è solo fine a sé stesso, ma persegue uno scopo di
destabilizzazione e ricostruzione di un intero paese. Il protagonista V guida
il popolo - e il lettore stesso - nel processo di catarsi della malata
Inghilterra post bellica e lo fa con la consapevolezza che, oltre che della
violenza necessaria, ci si dovrà servire di cultura e ideali puri. L’anarchia è
il mezzo con il quale si deve distruggere il castello di carta del governo
totalitario, perché la giustizia è ormai divenuta una creatura poco affidabile,
una concubina delle malvagie forze che guidano la nazione, ha venduto la sua
fedeltà al nemico. Questa giustizia, che con promiscuità s’unisce a chiunque la
desideri, e non solo, come utopicamente dovrebbe essere, ai puri e ai giusti
appunto, viene simbolicamente abbandonata e distrutta da V nell’eccezionale
monologo (finto dialogo) sul tetto dell’Old Bailey: una sintesi perfetta della
visionarietà di Moore e di Lloyd, che descrivono perfettamente la lucida follia
di V, completamente votata al rinnovamento del suo mondo. Altro splendido monologo
è il discorso di V sulla rete nazionale: il datore di lavoro (Dio o qualsiasi
entità superiore) critica il modo nel quale l’azienda (il pianeta Terra che ci
ospita e ci “stipendia” con le sue innumerevoli risorse) viene mal guidata dai
dipendenti (il genere umano, ozioso, poco intraprendente e irresponsabile),
eviscerando una serie di terribili difetti della nostra specie. L’anarchia è la
medicina per guarire la nazione malata, prima di essa è necessario, anche se
pericoloso, introdurre il caos che destabilizzi l’ordine infetto e distrugga il
totalitarismo che non permette al popolo di scegliere quale via seguire.
Eliminare i capi che governano un stato corrotto per ristabilire giustizia e
ordine dal basso, dalla gente comune, che non aspetta nient’altro che poter
gridare la propria rabbia e insofferenza. Se il linguaggio di un paese non è
più quello del dialogo e del buon senso, forse ci si deve adattare a parlare
l’unico idioma che i capi sono in grado di comprendere, quello della violenza,
mai gratuita, ma a volte indispensabile per dare una radicale svolta ad
un’esistenza bieca e insostenibile. Quante di queste affermazioni potrebbero
esser adatte anche alla nostra penisola?
lunedì 5 marzo 2012
"Soffocare" di Chuck Palahniuk - Il controllo è tutto: ci illudiamo di ottenerlo?
“Esiste il contrario del déja vu. Lo chiamano jamais vu. E’ quando incontri le stesse persone o visiti gli stessi posti in continuazione, ma ogni volta è come fosse la prima. Tutti sono sconosciuti, sempre. Niente risulta mai familiare.”
“Diciamocelo: in un mondo senza più Dio, il nuovo dio non sono forse le madri? L’ultimo bastione sacro e inespugnabile. Che la maternità sia l’ultima magia perfetta, l’ultimo miracolo? Ma è un miracolo impossibile per gli uomini. Che gli uomini dicano tanto di essere felici di non dover partorire, per via del dolore e del sangue, ma che in realtà la loro sia tutta invidia? Di sicuro gli uomini non sanno fare nulla di tanto incredibile. Muscolature superiori sviluppate, pensieri astratti, falli: tutti gli apparenti vantaggi degli uomini sono in realtà più che altro simbolici. Con un fallo non ci pianti nemmeno un chiodo. Le donne nascono già talmente avvantaggiate, a livello di capacità. Se un giorno gli uomini impareranno a partorire allora sì che si potrà cominciare a parlare di parità di sessi.”
“Il linguaggio altro non è che il nostro personale modo di spiegare lo splendore e la meraviglia del mondo. Per decostruirlo. Liquidarlo…la gente non è in grado di reggere la vera bellezza del mondo. Il fatto che non possa essere spiegata o compresa.”
“In un mondo in cui tutti quanti non fanno altro che aspettare ciecamente questa o quella catastrofe, questo o quella malattia fulminante, chi ha una dipendenza perlomeno sa a grandi linee cosa lo aspetta dietro l’angolo. Ha assunto una parvenza di controllo sul suo destino, e la dipendenza fa si che per questa persona il modo in cui morirà non sia un mistero. In un certo senso, avere una dipendenza è sinonimo di intraprendenza. Una bella dipendenza come si deve toglie alla morte l’elemento sorpresa. Perciò si può progettare la propria fine, eccome.”
Palahniuk in gran spolvero. Il folle cantore dell’allucinata realtà quotidiana nella quale viviamo in perfetta forma. Il terzo romanzo di questo autore che ho letto, non mi ha deluso per nulla e l’ho trovato quasi al livello di Survivor, che resta secondo me il suo capolavoro. Uno scansafatiche di circa trent’anni, figurante in parco tematico che ricostruisce l’epoca dei padri pellegrini americani, sesso dipendente, di padre ignoto e con una madre con l’Alzaimer avanzato che non lo riconosce, si inventa un metodo originale per arrotondare lo stipendio: soffocare in un ristorante. Ogni volta in un locale differente, perché ci sarà sempre qualcuno pronto a salvarlo, a fargli sputare il troppo cibo ingerito e andato “volontariamente” a intoppargli le vie respiratorie e digestive, un medico, qualcuno del pronto intervento, oppure più semplicemente un uomo qualunque che colga al balzo l’occasione per dare un’impennata alla sua noiosa vita i tutti i giorni. Infatti Victor Mancini, il protagonista della storia, soffocando di proposito si sente un vero e proprio salvatore di questi esseri tristi e impantanati in un’esistenza troppo convenzionale; nello stesso tempo il salvatore, dopo aver ottenuto il suo momento di gloria ed esser divenuto un piccolo ma importante eroe, sarà ben lieto di iniziare una corrispondenza col proprio “salvato” e di aiutare economicamente con un assegno annuale la povera anima strappata ad una fine prematura. Soprattutto perché questa povera anima ha donato al salvatore la sua eterna gratitudine e sentirsi importanti, vittoriosi, emergere dalla massa, significa tutto per un’umanità lobotomizzata dalla convenzionalità. Mi pare che il fulcro centrale della vicenda sia la perenne ricerca del controllo. Palahniuk sviluppa le azioni e i pensieri dei personaggi sempre in relazione con questo concetto di fondo, a tratti velato da altre considerazioni, a volte invece esplicitato nel testo. Per prima cosa il “dono” che il protagonista fa ai suoi salvatori, questa illusione di aver salvato una vita, in fondo una truffa rivestita di una dubbia moralità, si giustifica con il desiderio di controllare l’esistenza di qualcun altro, di poter essere padrone di una decisione e di un’azione così importante. In seguito la brama del controllo si può riscontrare nella ricerca ossessiva di Victor delle sue origini e del suo vero padre, per avere il possesso della propria identità; nella dipendenza dal sesso, che rappresenta un modo per avere dei punti fermi, una routine malsana in una vita che il destino può sconvolgere da un momento all’altro con catastrofi o malattie; oppure infine il peso del controllo si può intuire in un concetto astratto che mi ha molto colpito: la necessità di spiegare col linguaggio la bellezza del mondo e della realtà che ci circonda, una manifestazione meravigliosa che non può essere sintetizzata con le parole, ma che noi abbiamo l’idea di dover dominare e di dover definire. A questo si lega il pensiero che l’irreale è più potente del reale, perché se anche possiamo illuderci di circoscrivere la realtà che ci circonda con il linguaggio, non possiamo in definitiva imbrigliare l’immaginazione, le idee, i concetti, che sopravvivono alla materia. Controllare ogni aspetto della nostra vita non è possibile, possiamo solo illuderci di farlo. Lasciare che il passato delinei il nostro futuro è una soluzione che ci rende vuoti e assetati. Inventarci qualcosa di meglio e credere nella nostra immaginazione è presumibilmente la via da seguire per fuggire alla noia e dalla malinconia di un mondo immobile.
P.S.: il film del 2008 di Clark Gregg, pur avendo vinto il premio della Giuria al Sundance Film Festival, perde i concetti più importanti del testo e si sviluppa in maniera meno intimista, comunque è una piacevole visione, dopo aver letto il libro, mi raccomando!
“Le leggi che ci permettono di vivere sicuri sono le stesse che ci condannano alla noia. Se non possiamo accedere al caos autentico, non avremo mai autentica pace. Se le cose non hanno la possibilità di peggiorare, non miglioreranno…L’irreale è più potente del reale. Perché la realtà non arriva mai al grado di perfezione cui può spingersi l’immaginazione. Perché soltanto ciò che è intangibile, le idee, i concetti, le convinzioni, le fantasie, dura. Le pietre si sgretolano. Il legno marcisce. La gente, bé…la gente muore. Ma le cose fragili, come un pensiero, un sogno, una leggenda, durano in eterno.”
sabato 25 febbraio 2012
"Invisible Monsters" di Chuck Palahniuk - Il sanguinoso cinismo del mondo della moda.
“Ormai quando sul giornale vedo la foto di una ventenne che è stata rapita e sodomizzata e derubata e poi uccisa e accanto c’è una foto tutta pagina di lei giovane e sorridente, invece di pensare che questo sia un crimine grande e triste, la mia reazione istintiva è, wow, sarebbe una gran fica se non avesse quel nasone. La mia seconda reazione è che è meglio che io abbia pronto qualche bel primo piano di me nel caso venga rapita e sodomizzata a morte. La mia terza reazione è, bé, almeno così si riduce la competizione.”
“Per tutto questo tempo, sono stata calma. Ero il ritratto della calma. Mai, mai sono stata presa dal panico. Ho visto il mio sangue e muco e denti spiaccicati su tutto il cruscotto subito dopo l’incidente, ma l’isteria è impossibile senza un pubblico. Farsi prendere dal panico da soli è come ridere da soli in una stanza vuota. Uno si sente veramente stupido.”
"Quand’è che il futuro è passato dall’essere una promessa a essere una minaccia?...Solo quando inghiottiremo questo pianeta Dio ce ne darà un altro. Saremo ricordati più per quello che distruggiamo che per quello che creiamo…Quando non sappiamo chi odiare, odiamo noi stessi…Niente di me è originale. Sono il risultato dello sforzo di tutti quelli che ho conosciuto…Quello che ami e quello che ti ama non sono mai, mai la stessa persona.”
"Non esiste nessun reale tu in te. Perfino il tuo corpo fisico, tutte le tue cellule saranno rimpiazzate entro otto anni. Pelle, ossa, sangue, e trapianto di organi da una persona all’altra. Anche quello che c’è già dentro di te, le colonie di microbi e di vermi che mangiano il tuo cibo per te, senza di loro moriresti. Niente di te è tuo fino in fondo. Tutto di te è ereditato.”
“Sei un prodotto del nostro linguaggio e di come sono le nostre leggi e di come crediamo che Dio ci voglia. Ogni minima molecola di te è già stata pensata da qualche milione di persone prima di te. Qualsiasi cosa tu faccia è noiosa e vecchia e va perfettamente bene. Vai sul sicuro perché sei intrappolata dentro la tua cultura. Qualsiasi cosa tu concepisca va bene perché riesci a concepirla. Non riesci a immaginare nessuna via di fuga. Non c’è via di scampo. Il mondo è la tua culla e la tua trappola.”
“Il modo migliore è di non combattere, lascia perdere. Non cercare sempre di aggiustare le cose. Quello da cui scappi non fa che rimanere con te più a lungo. Quando combatti qualcosa, non fai che renderla più forte. Non fare quello che vuoi. Fai quello che non vuoi. Fai quello che sei allenata a non volere. Il contrario della ricerca della felicità. Fai le cose che ti spaventano di più.”
Palahniuk incontra il terribile mondo delle modelle e del conseguente culto dell’aspetto: non può che scaturirne una tempesta dalla quale nessuno può salvarsi. La storia di Shannon McFarland è degna di un incubo di David Lynch e il lettore se ne accorge subito, dal momento che apprende fin dalle prime pagine che la protagonista, un tempo bellissima modella sulla cresta dell’onda, ha il volto sfigurato da un colpo di fucile, privato della mandibola e dunque somigliante a un vero e proprio mostro, con la lingua che penzola da una cavità ormai priva delle sue funzioni, dalla comunicazione alla semplice alimentazione. Dovrà riacquisire la capacità di esprimersi e imparare a nutrirsi con pappe e omogeneizzati, in un arduo percorso che la fa regredire ad una sorta di nuova infanzia, un periodo nel quale deve reinventare la sua stessa persona.
In questo viaggio viene accompagnata da Brandy Alexander, una transessuale che sta per terminare il suo percorso di mutazione di sesso verso la totale femminilità, e Seth, un apparentemente misterioso compagno di avventura di Brandy; con queste due figure totalmente anticonformiste Shannon si muove per l’America, visitando case in vendita, rubando i farmaci che trovano in esse e rivendendoli, senza tralasciare l’abuso occasionale degli stessi. Ma al di là del viaggio materiale dei personaggi, è importante seguire la travagliata tempesta di pensieri che infuriano nella mente di Shannon, la nuova consapevolezza che si forma in lei dopo il fatale incidente al suo viso. Sembra che la Shannon cinica e seguace dell’idolatria dell’aspetto fisico, una splendida ninfa che pensa che si riduca la competizione se muore una giovane bella ragazza, una dea dell’immagine che crede che per mettere in mostra la sua bellezza si debba essere perennemente confrontata con una persona più brutta, in modo da non sfigurare, un’isterica creatura che ritiene di esser viva solo se qualcuno può testimoniare le proprie azioni e reazioni (e in questo è simile a certe considerazioni di Tender Branson protagonista di “Survivor”, quando dice che “non c’è ragione di fare nulla, se nessuno ti guarda”), sembra che queste caratteristiche presenti nella Shannon pre-fucilata, vengano progressivamente spazzate via dalla furia annientatrice della mentore Brandy, e dalle riflessioni della Shannon “risorta a nuova vita”, come se lo sfregio fisico abbia avviato un processo mentale prima impossibilitato a procedere. Oltre ai cambiamenti psicologici della protagonista, che si sviluppano nell’abito di una società che adora le immagini piuttosto che i contenuti, tra i temi principali della sessualità (soprattutto omosessualità), dell’abuso di farmaci per apparire “belli” e della scioccante frivolezza della gente comune, il motore principale della narrazione è il sentimento di vendetta; è questo infatti che spinge Shannon a cercare chi le ha sparato in quell’orribile giorno, chi le ha cambiato così radicalmente l’esistenza, chi l’ha tramutata da una dea in carne e ossa, in un mostro invisibile di carne martoriata. Il lettore si appassiona a questa ricerca e segue i ricorrenti flashback della storia per indagare con la protagonista e formulare un’ipotesi su chi possa essere il colpevole, a Palahniuk è come al solito spiazzante e poco alla volta ci prospetta uno scenario finale intricato e imprevedibile, dove le apparenti assurdità dei colpi di scena si normalizzano in un contesto già di per sé anormale. Le reminiscenze di “Fight Club” e “Survivor” sulla decadenza della società moderna e sul tentativo di fuga da essa o di annichilimento della stessa, sono ancora presenti come carattere peculiare della narrazione di Palahniuk, ma non manca comunque la voglia di esplorare tematiche nuove e la capacità di sorprendere con climax finali ad alta tensione. E infine il lettore può forse concordare con Shannon che probabilmente quel colpo di fucile non è una dannazione, ma forse una liberazione e la gestazione di una nuova vita.
“Sono un mostro invisibile, e sono incapace di amare. Non si sa cosa sia peggio.”
venerdì 24 febbraio 2012
Happy Half Century Chuck!
Uno dei miei scrittori preferiti ha da pochi giorni - precisamente il 21 febbraio scorso - compiuto 50 anni e colgo la gradita occasione per fargli gli auguri e dedicargli una serie di post con estratti dai suoi romanzi e commenti personali alle sue opere.
"...we all experience our own version of the world..."
http://blogs.houstonpress.com/artattack/2012/02/five_chuck_palahniuk_books_tha.php
http://blogs.houstonpress.com/artattack/2012/02/five_chuck_palahniuk_books_tha.php
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