“Il mio pesciolino rosso sguazza tutto eccitato dentro la palla di vetro appoggiata sopra il frigo, così mi allungo e lascio cadere qualche goccia di Valium nell’acqua…Questo è il mio pesciolino numero seicentoquarantuno in una vita costellata di pesciolini rossi. I miei genitori mi comprarono il primo per insegnarmi cosa significasse amare e prendersi cura di una creatura vivente del Signore. Seicentoquaranta pesci dopo, l’unica cosa che ho imparato è che tutto quello che ami morirà. La volta che incontri qualcuno di speciale, puoi farci affidamento il giorno che è già morto e sepolto.”
“La gente non vuole rimettere in sesto la propria vita. Nessuno vuole che i suoi problemi vengano risolti. I suoi drammi. Le sue distrazioni. Le sue storie risolte. I suoi casini ripuliti. Perché, che cosa mai le rimarrebbe? Solamente il grande spaventoso inconoscibile. La maggior parte della gente che mi chiama sa già cosa vuole. Alcuni vogliono morire e cercano solamente il mio permesso. Molti altri vogliono morire e hanno bisogno solamente di un piccolo incoraggiamento. Una piccola spinta. Spesso a chi è risoluto verso il suicidio non è rimasto molto senso dell’umorismo. Una parola sbagliata, e li troverai negli avvisi mortuari la prossima settimana. La maggior parte delle telefonate che ricevo sto ad ascoltarle solamente a metà. La maggior parte della gente, decido se deve vivere o se deve morire solamente dal tono della voce…suona il telefono, di nuovo. E’ un ragazzo che chiama per dirmi che sta per essere bocciato in Analisi II. Solo per una questione di praticità, gli dico, Ucciditi. Chiama una signora e dice che i suoi bambini non si comportano bene. Senza perdere un colpo, le dico, Ucciditi. Un tipo chiama per dirmi che la sua macchina non parte. Ucciditi. Una donna chiama per chiedermi a che ora comincia l’ultimo spettacolo. Ucciditi. Mi chiede: Non è il 555-1327? Non è il Cinema Moorehouse? Le rispondo, Ucciditi. Ucciditi. Ucciditi. Chiama una ragazza e mi domanda: Fa molto male morire? Be’, tesoro, le dico, sì, fa male, ma fa molto più male continuare a vivere.”
“Proprio non volevo essere aggiustato. Qualsiasi fossero i miei veri problemi, io non volevo che fossero curati. Nessuno dei piccoli segreti dentro di me voleva essere scovato e dipanato. Con i miti. Con la mia infanzia. Con la chimica. La mia paura era, che cosa mi sarebbe rimasto? E così nessuno dei miei rancori e terrori è mai uscito alla luce del giorno. Non volevo risolvere nessuna delle mie angosce.”
“Qui, nel bagno, con me ci sono delle lamette. C’è dello iodio da bere. Ci sono delle pillole per dormire da ingoiare. Puoi scegliere. Vivere o morire. Ogni respiro è una scelta. Ogni minuto è una scelta. Essere o non essere. Ogni volta che non ti butti dalla tromba delle scale, è una scelta. Ogni volta che non via a schiantarti con la macchina, ti rimetti in gioco.”
“…se Gesù Cristo fosse morto in prigione, senza nessuno a guardarlo, a torturarlo o piangerne la morte, saremmo stati salvati lo stesso?...il fattore più importante che fa di te un santo è la quantità di articoli che riesci a ottenere sulla stampa…Se non ci fosse stato nessuno a testimoniare l’agonia di Cristo, saremmo stati salvati? La chiave per la salvezza sta in quanta attenzione riesci a ottenere. Negli indici di gradimento. Nello share di pubblico. Nel numero delle tue apparizioni. Nella riconoscibilità del tuo nome. Nel tuo seguito giornalistico. Nel pettegolezzo…Realizzi che la gente fa uso di droghe perché è l’unica vera avventura intima che le rimane nel suo mondo fatto di vincoli temporali, leggi, ordini, e limiti dati dalla materia. E’ soltanto con le droghe o con la morte che vediamo qualcosa di nuovo, e la morte è un po’ troppo definitiva. Realizzi che non c’è ragione di fare nulla, se nessuno ti guarda.”
“…è la nostra sfiducia nel futuro che ci rende difficile il distacco dal passato. Non riusciamo ad abbandonare il concetto di quello che eravamo…La ragione per cui ogni volta che buttiamo via qualcosa ci assale la nostalgia è che abbiamo paura di evolvere. Di crescere, cambiare, perdere peso, reinventare noi stessi. Di adattarci.”
“Secondo l’agente, quelli là fuori che cercano un leader, lo vogliono vibrante. Lo vogliono dinamico. Lo vogliono imponente...Vogliono qualcosa di più dell’umano. Vogliono qualcosa di più della taglia normale. Nessuno vuole solo l’anatomicamente corretto. La gente vuole la magnificenza anatomica...Devi essere tutto quello che la gente normale non è. Dove loro falliscono, tu devi andare fino in fondo. Essere quello che loro hanno paura di essere. Diventare qualcuno che loro possano ammirare. La gente che vuole comprare un messia cerca la qualità. Nessuno è disposto a seguire un perdente. Quando si tratta di scegliere un salvatore, non si accontentano di un semplice essere umano.”
“Se si guarda da vicino, la storia non fa altro che ripetere se stessa. Quello che chiamiamo caos non è nient’altro che uno schema che non abbiamo riconosciuto. Quello che chiamiamo caso non è altro che uno schema che non riusciamo a decifrare. E quello che non riusciamo a capire lo chiamiamo nonsense. Ciò che non possiamo leggere, lo chiamiamo borbottio. Non esiste il libero arbitrio. Non ci sono variabili. Solo l’inevitabile esiste. C’è solo un futuro. Non c’è scelta. La brutta notizia è che noi non abbiamo nessun controllo. La buona notizia è che non possiamo fare nessun errore.”
“Guardiamo tutti gli stessi programmi televisivi. Alla radio ascoltiamo tutti le stesse cose, parliamo tutti delle stesse cose. Non c’è rimasta più nessuna sorpresa. Tutto uguale, sempre di più. Solo ripetizioni…Siamo cresciuti tutti con gli stessi show televisivi. E’ come se avessimo tutti lo stesso impianto di memoria artificiale. Non ricordiamo quasi nulla della nostra reale infanzia, eppure sappiamo perfettamente tutto quello che succedeva alle famiglie delle sitcom. Abbiamo tutti gli stessi traguardi. Tutti le stesse paure…Il futuro non è radioso. Molto presto, avremo tutti gli stessi pensieri allo stesso momento. Andremo perfettamente all’unisono. Sincronizzati. Connessi. Uguali. Gli stessi. Come formiche. Insetti. Pecore.”
E’ stato il primo libro che ho letto di Palahniuk, ed è stato subito amore a prima vista. Resta per ora il suo capolavoro , dal mio punto di vista (non ho letto “Fight Club”, il suo vero capolavoro, perché ho visto prima il film purtroppo) e sono giunto a leggere in ordine cronologico i suoi testi fino a “Ninna Nanna”. Tante affermazioni su questo autore possono essere condivise e smentite allo stesso tempo: Palahniuk è uno scrittore pulp, erede della tradizione di DeLillo, dissacrante, iconoclasta, grottesco, satirico e distruttivo. L’immagine che ci si fa di lui è certamente quella di un attento conoscitore della cultura americana, e di riflesso occidentale, moderna, afflitta dalle fobie, dalle dipendenze e dalle nemesi che imprigionano la nostra civiltà in una realtà che Palahniuk concepisce come un circo allucinante. Per questo i suoi personaggi e le sue storie sono al limite della credibilità. La normalità è talmente illusoria secondo lo scrittore, che viene deformata fino a creare dei mostri. Antieroi che seguono un processo di crescita lungo il romanzo che appare deviante e inverosimile, ma che in nessun momento appare inappropriato al lettore, perché in un mondo di quotidiane abitudini moralmente corrotte e trasformate, la normalità può essere il suicidio di massa di una setta religiosa. O l’esistenza di una linea telefonica per salvare gli aspiranti suicidi. O la scalata al successo di un predicatore televisivo, da ultimo sopravvissuto ad un massacro, senza ambizioni e senza apparenti speranze. Ogni evento è plausibile, nessuno più si stupisce di nulla, soprattutto se i media ce lo propinano all’infinito. Qualcuno ha scritto che Palahniuk non è l’espressione del nichilismo, ma del distruttivismo: distruzione e autodistruzione della realtà, non negazione, perché essa c’è ed è ben presente attorno a noi, ma pare che davvero egli non voglia cercare nulla da salvare e s’impegni a decomporla. La critica, la satira, sono ormai sorpassate, si giunge all’annientamento. E’ innegabile che tutto sia spinto all’eccesso da Palahniuk in questa sua missione senza pietà, ma nell’atto di distruzione della realtà io credo che si formi una creazione molto singolare: una consapevolezza nel lettore che molte delle accuse di Palahniuk sono vere, ci si rende conto che la realtà in cui viviamo non è poi così lontana dallo spettacolo di assurdità descritto nei suoi testi e, se filtrata con l’irrazionalità che è insita in ognuno di noi, possiamo riconoscere le storie che ci vengono raccontate proprio accanto a noi ed entrare pienamente nell’universo Palahniuk senza pericolo di esserne travolti. Filtrare dunque ogni parola dell’autore consci dell’eccesso delle quali sono caricate, ma anche consapevoli della disarmante schiettezza e verità che le stesse contengono. Lo stile di Palahniuk del resto rispecchia il suo modo d’interpretare la nostra civiltà, con frasi brevi, ad effetto, spoglie di avverbi e aggettivi, con poche e immediate descrizioni e tante, tantissime ripetizioni. Non ci ricorda forse la quotidiana dose di pubblicità che ci viene sparata dritta in vena? Il lessico poi è attinente al modus operandi del narratore, dato che il protagonista delle storie parla sempre in prima persona; vocaboli distruttivi, spesso volgari, che si confanno alle vicende, ma sempre d’immediata comprensione da parte del lettore.
Detto questo si passa al libro.
“Survivor” è una storia molto più complessa di quanto ci si possa immaginare, a mio avviso. Come spesso accade, si parte alla fine, perché a Palahniuk interessa indagare la psiche dei suoi personaggi, le motivazioni e le origini delle vicende e descrivere come sovente sia il mondo che ci circonda a farci compiere azioni che ci fanno deviare dalla routine quotidiana. Il protagonista Tender Branson dunque, comincerà la sua vita come membro di una setta religiosa, verrà spedito nel “mondo (a)normale” a lavorare per la comunità, resterà unico superstite del gruppo, dopo il suicidio di massa dei suoi confratelli e diventerà predicatore televisivo acclamato dalle folle, prima dell’inevitabile tracollo. Nel mezzo di questi eventi, tanti singolari e importanti particolari della sua esistenza, dovuti, pare, al caso; ma se siamo in accordo con un personaggio del libro, Fertility, una sorta di Cassandra che ha il dono della preveggenza del futuro (l’unica digressione “sovrannaturale” che si concede Palahniuk), il caso non esiste, il futuro è già scritto e la storia è una ripetizione di schemi, pertanto non esiste il libero arbitrio e non dobbiamo preoccuparci di sbagliare. La questione della libertà delle nostre scelte è un tema trattato da tanti scrittori e non solo in passato, ma è inquietante come in Palahniuk si leghi sottilmente al fatto che l’umanità sembra diventare giorno dopo giorno, sempre più amebica, incapace di prendere decisioni da sola, guidata dai media che la indottrinano senza lasciare scampo alla libertà e all’immaginazione personale. La gente ha paura di non essere guidata, di dover far le proprie scelte da sola. Forse è per questo che il futuro è già scritto, almeno io leggo questo significato nelle parole di Fertility. Tutto è uguale e preincartato, quindi l’unica possibilità di azione intima e unica è forse la morte, il suicidio, l’atto distruttivo in se stesso; tutto il romanzo è impregnato dell’idea dell’autodistruzione, ogni personaggio segue una sua rotta verso questo intento, nessuna figura è in grado di proporre una soluzione alternativa all’eccesso autolesionista. Se, inaspettatamente, si verificano dei cambiamenti nella vita di ognuno dei personaggi, le cause sono da riscontrare nelle dinamiche degli eventi che ruotano attorno ad essi, sono “investiti dalla vita” e quindi non paiono creatori del proprio destino, ma sembrano subirlo. Però la risposta che essi danno agli eventi non è mai scontata, ed anzi dimostra un’originalità che conferma la possibilità dell’improbabile. Quindi nel momento in cui Tender resta l’unico sopravvissuto della sua setta, quando rischia di essere accusato di diversi suicidi che paiono essere omicidi, può rispondere a tali avversità reinventandosi come guru mediatico, risorgendo come creatura unica e quindi proponendosi alla massa come figura da seguire. Tutto questo va comunque fatto seguendo le regole spietate dello showbiz, perché solo emergendo e acquisendo notorietà si può essere davvero qualcuno, solo sotto i riflettori le proprie azione hanno significato. Ma alla fine, dopo cadute e risalite, dopo scoperte e delusioni, alla ricerca di un amore e un’accettazione che più che del prossimo sembra essere rivolto a se stesso, il protagonista deve precipitare verso quel gorgo al quale tende sin dall’inizio della sua vita, la tanto agognata autodistruzione. Lo svolgimento della trama richiede attenzione da parte del lettore, anche perché Palahniuk non rispetta la linearità temporale, ma la vera lente d’ingrandimento il pubblico la deve porre sulle riflessioni dei personaggi, spesso rapidamente precipitate sulla pagina tra un fatto e l’altro, e anche sulla società descritta, che reagisce alle provocazioni dei protagonisti con tutta la scioccante e alienata follia della nostra delirante epoca.